08 Nov Difendiamo la nostra “Marchigianità”!
Il titolo non è assolutamente provocatorio, anzi, lo riteniamo incoraggiante e speriamo infatti che incoraggi tutti noi Marchigiani ad acquisire un pò più di consapevolezza per le tradizioni e la cultura che fanno della nostra regione, (come per ogni singola regione a suo modo) un territorio unico.
Capita spesso di stupirsi se qualcuno non ha mai sentito parlare di una canzone o di un film diventato cult, ma mai quando si scopre che la metà della popolazione che vive in un territorio in realtà non lo conosce o peggio quando la maggior parte di quella popolazione conosce i piatti tradizionali solo per sentito dire non sapendo in realtà come siano fatti. Il caso più comune di “disorientamento culinario” lo sperimentiamo quando chiediamo che differenza c’è tra i vincisgrassi e le lasagne. A vederli sembrano due piatti molto simili e in qualche ristorante vengono perfino serviti spacciando l’uno per l’altro e ricevendo poi qualcosa che non è né l’uno né l’altro.
Non ci soffermeremo sulle ricette nello specifico perché di quelle, il web è pieno, quello però che in questo articolo teniamo a sottolineare è che i vincisgrassi sono un piatto nato nelle Marche, alcuni cenni storici dibattono poi i natali tra Ancona e Macerata, quel che è certo però è che si tratta di un piatto che non solo racconta il suo territorio fin dagli ingredienti che racchiude ma anche dalla cottura prevalentemente eseguita con forno a legna, inoltre va detto che nel 1780 (la nascita presunta dei vincisgrassi) non potevano esistere forni a legna a cottura indiretta ma solo i classici forni a legna a fuoco diretto, gli stessi in cui si infornava il pane, le focacce, si arrostivano carni, castagne e dolci tradizionali come il Frustingo.
I vincisgrassi, giusto per tornare al protagonista del racconto, venivano preparati con un ragu che prevedeva le carni di cortile a volte stracotte come la carne del cappone già usata per il brodo e altre come il maiale con l’aggiunta di alcuni pezzi di bovino adulto – quando erano disponibili – il tutto tagliuzzato finemente, quello che la cucina moderna definisce taglio a Julienne noi nelle Marche diciamo “sfilacciato”. La presenza della besciamella non era tanto per aggiungere sapore di cui il piatto era già ricco ma per rendere più sodo il ragù che già di suo era piuttosto corposo, infatti si faceva sobbollire per ben 4 ore. La besciamella era, come si evince dagli scritti di Antonio Nebbia il cuoco Maceratese, un semplice addensato di latte e farina, il burro non era certo contemplato nel nostro territorio mentre invece la noce moscata si, infatti le sue origini risalgono dalla lontana Indonesia, dove la noce moscata veniva utilizzata come alimento sin dal 2500 a.C. mentre in Europa, arriverà nel 1500 circa trovando una vera diffusione solo verso la fine del 1700 dove la spezia inizierà a spopolare tra le cucine dei nobili… giusto in tempo per la nascita dei vincisgrassi.
La cottura nel forno a legna era alla fine un elemento essenziale di questo piatto, non solo per gli aromi che solo i forni a legna a fiamma diretta riescono a regalare, ma anche e soprattutto per la rosolatura fino ad una consistenza croccante e uniforme dello strato superiore – chi le ha assaggiate conosce la differenza tra lasagne o la pasta al forno cotta nel forno elettrico e i vincisgrassi croccanti e succulenti cotti in una teglia lambita dalla fiamma viva.
Difendere la nostra marchigianità significa conoscere e valorizzare ciò che il passato ci tramanda e difenderlo. Quello di cui abbiamo parlato oggi non è un semplice piatto, ma un vero e proprio scrigno culturale che tramanda usanze, cultura e sapori che non dobbiamo dimenticare perché fanno parte della nostro retaggio, la ricchezza più importante di un popolo che lavora grazie al proprio territorio e alla propria cucina.